Condividere un sistema alpino sanitario, così da garantire i punti nascita sparsi nei territori più disagiati. È questo l’obiettivo di un gruppo di sindaci di varie regioni quali Veneto, Trentino Alto Adige, Lombardia e Piemonte, che si sta muovendo per poter garantire ai propri cittadini un servizio sanitario essenziale, come quello che permette alle donne di partorire in sicurezza, anche se abitano in paesi di montagna. E tra questi amministratori per il Veneto, c’è Maria Antonia Ciotti di Pieve di Cadore A tenere le fila di questo movimento è l’assessore alla salute di Cavalese, un comune di circa 4000 abitanti in provincia di Trento. «Stiamo contattando tutti i sindaci e anche i presidenti delle comunità di valle», precisa l’assessore Giuseppina Vanzo, «che rappresentano quei comuni dove ci sono i punti nascita che hanno le caratteristiche per avere una deroga alla legge nazionale. Legge che vorrebbe che i centri con meno di 500 parti all’anno venissero chiusi. Noi stiamo lavorando per avere una deroga. E per farlo abbiamo bisogno che tutta la politica locale si impegni per questo». Il problema, come spiegano sia Vanzo che Ciotti, è la fatica a reperire i medici per mantenere aperte le strutture.Anche Cavalese, infatti, come Pieve di Cadore e l’Usl 1 Dolomiti e tanti altri paesi di montagna si stanno confrontando con la difficoltà a reperire medici. Le aziende sanitarie bandiscono gare e pubblicano avvisi ma all’appello non si presenta nessuno, o quasi.