Immaginiamo un continuum sui cui lati opposti troviamo due discipline fino a poco tempo fa ritenute pressoché inconciliabili: le neuroscienze e la psicoanalisi. Le discipline neuroscientifiche nascono dalla curiosità di studiare gli aspetti morfofunzionali del sistema nervoso e si sviluppano a partire dall’identificazione del neurone come “unità cellulare autonoma e indipendente del sistema nervoso” (Treccani). Sebbene le origini di questa disciplina siano molto lontane – lo studio del sistema nervoso risale infatti all’antico Egitto – è a partire dal ventesimo secolo che si assiste a un importante progresso scientifico. Disciplina a base biologica, collabora con materie che, almeno idealmente, potrebbero risultare difficilmente conciliabili, come la psicologia, l’ingegneria, l’informatica e la linguistica. Le neuroscienze rappresentano al giorno d’oggi l’approccio all’avanguardia per eccellenza e stanno contribuendo al progresso scientifico anche nel campo della psicologia applicata allo studio – tra gli altri – del comportamento, dello sviluppo, delle attività cognitive, dei processi e dei comportamenti sociali. Al lato opposto troviamo, invece, Sigmund Freud, padre fondatore della psicoanalisi. Medico neurologo attratto da ciò che sottende il comportamento umano, tra la fine dell’‘800 e l’inizio del ‘900 decise di fare della sua passione un mestiere e teorizzò l’esistenza dell’inconscio. Seppur questa disciplina sembrasse non riuscire più a reggere il confronto con le teorie psicologiche che si susseguirono, pare che siano proprio le neuroscienze a riconfermare la validità e l’efficacia delle psicoterapie su di essa basate. Nello specifico le neuroscienze cognitive si pongono come oggetto d’indagine i substrati neurobiologici dei processi cognitivi, con l’intento di studiare, da un punto di vista prettamente scientifico, i principi che sottendono i processi mentali. Il gruppo di Psicoanalisi e Neuroscienze della Società Psicoanalitica Italiana si è posto l’obiettivo di rintracciare a livello cerebrale i benefici apportati da un percorso di terapia psicoanalitica. Avvalendosi quindi di tecniche come la risonanza magnetica funzionale (fRMI) e la tomografia a emissione di positroni (Pet), si è osservato che la terapia basata sulla parola apporta ai pazienti dei benefici, che risultano essere confermati dalla proliferazione delle sinapsi – e cioè di collegamenti – tra i neuroni. Un passo avanti che riporta il grande maestro in pole position!
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