Pfas, reato ambientale imprescrittibile

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Uno dei problemi essenziali nei delitti contro l’ambiente è il fatto che, talvolta, la legge finisce per avere tempi di prescrizione troppo brevi. Tuttavia nel processo contro i responsabili dell’inquinamento da Pfas, questo rischio pare scongiurato. Una recente sentenza della Cassazione Penale del maggio scorso, la n. 13843/2020, recepisce una tesi sostenuta dalle difese dei Gestori del servizio idrico ancora durante le indagini preliminari, ritenendo che fatti come quello in contestazione costituiscono reati permanenti o eventualmente permanenti, che quindi non si prescrivono. Inoltre, nella seconda parte dell’inchiesta, il cosiddetto fascicolo “Pfas bis”, la procura ha applicato le nuove norme sui delitti ambientali, che prevedono la sanzione accessoria del ripristino ambientale. Si tratta di un’intuizione di uno dei legali che tutelano gli interessi dei gestori (avvocato Marco Tonellotto per Acque del Chiampo) recepite dai recenti atti della procura che la scorsa estate ha chiuso il fascicolo riconoscendo ai presunti responsabili dell’inquinamento dal 2013 al 2017 il reato 452- bis del codice penale e ora condivise anche dalla Cassazione.

E’ un dettaglio rilevante: di fatto si riconosce agli imputati la responsabilità della continuazione nel reato, che non si esaurisce nella sua fase iniziale, ma che si protrae nel tempo attraverso un’attività ininterrotta che in ogni momento riproduce la lesione del bene ambientale . In sostanza gli effetti che si sono sviluppati nell’inquinamento che si è esteso nel territorio sono essi stessi reato, non sono più solo “conseguenze”. La prosecuzione dell’inquinamento, che non si circoscrive solo ad una data cristallizzata nel tempo ma prosegue aggravando sempre più le condizioni delle acque, è un reato – ora chiaramente contestato appunto nell’inchiesta bis – che tendenzialmente non si prescrive mai.

L’intuizione dell’avvocato Tonellotto, che lavora in sintonia con il collegio difensivo dei gestori composto dall’avvocato e professore Angelo Merlin (Acquevenete e Viacqua) e con l’avvocato Vittore d’Acquarone (Acque Veronesi) è stata pubblicata sul sito www.ambientesicurezzaweb.it nel febbraio del 2019, e rappresenta oggi il punto di forza della strategia dell’accusa.

“Il capo di imputazione del secondo troncone rende evidenza della condivisione del pensiero che gli avvocati delle società idriche hanno rappresentato: il fatto è contestato a partire dall’entrata in vigore degli ecodelitti (29.5.2015), ma con riferimento a fatti chiaramente antecedenti; la violazione dell’art. 3 ter del D.Lgs. 152/2006 sta alla base dell’imputazione, imponendo doveri di gestione proattiva della prevenzione e tutela ambientale. La Cassazione nel 2020 sembra poi avere superato le problematiche di prescrizione: il reato, nella sua reiterazione nel tempo e nella sua consumazione giorno per giorno, col rinnovo della lesione all’ambiente, risulterebbe permanente o a consumazione continuata, escludendo quindi la prescrizione– spiega l’avvocato Tonellotto – i gestori possono rivendicare non solo di avere agito in termini oggettivi e operativi per assicurare un ripristino della risorsa idrica, ma hanno dato spunti e contributi decisivi nell’impostazione giuridica del caso, ponendosi come precursori di una linea di pensiero che solo ora la Cassazione ha fatto propria”.