“I dati ci dicono che a giugno il mercato del lavoro veneto ha cominciato a mostrare alcuni segnali di rallentamento e il calo della domanda di lavoro è un campanello d’allarme da non sottovalutare. Nonostante permangano segni positivi, il protrarsi del conflitto in Ucraina, le difficoltà di approvvigionamento energetico e il rincaro del costo delle materie prime, con la conseguente diminuzione del potere d’acquisto delle famiglie, iniziano a pesare. Dobbiamo monitorare attentamente questi segnali, attraverso puntuali aggiornamenti con Veneto Lavoro, perché il quadro complessivo di incertezza potrebbe avere ricadute negative anche in termini di posti di lavoro”.
Così l’Assessore regionale al lavoro Elena Donazzan commenta i dati di giugno pubblicati nella Bussola di Veneto Lavoro, il report statistico che monitora mensilmente l’andamento del mercato del lavoro regionale.
In Veneto, come in Italia, nel primo semestre si è tornati ai livelli occupazionali pre-pandemia del 2019. In regione si è registrato un saldo occupazione positivo per 77.500 posti di lavoro dipendente, con un incremento delle assunzioni del 30% rispetto al 2021 e di poco sopra al dato del 2019. Ma, a fronte di un consistente recupero nella prima parte dell’anno, negli ultimi mesi la crescita dell’occupazione ha rallentato, segnando a giugno un calo della domanda di lavoro del -3% rispetto allo scorso anno.
Anche il contesto economico è in rallentamento: le stime di crescita per il 2022 si attestano al +2,2% per il Pil nazionale e al +2,4% per quello veneto, mentre la manifattura italiana registra un tasso di contrazione mensile che era risultato superiore solo durante la crisi finanziaria, quella del debito sovrano e nelle fasi più acute della pandemia.
Buona parte dei nuovi posti di lavoro registrati nel primo semestre 2022 è a tempo determinato (55.300), ma a crescere sono anche i contratti a tempo indeterminato (+20.800 tra gennaio e giugno) e le trasformazioni, quasi raddoppiate rispetto allo scorso anno. Le assunzioni sono cresciute del 45% nell’arco del primo trimestre e del 20% nel secondo, con picchi superiori al 60% tra marzo e aprile, e un andamento decisamente meno positivo nei mesi di maggio e giugno.
“Un segnale incoraggiante arriva dai contratti a tempo indeterminato’’, conclude Donazzan.