Ognuno dei 3,6 milioni di contribuenti Irpef presenti nel Veneto versa all’erario mediamente 4.292 euro all’anno . Un importo inferiore a quanto pagano, ad esempio, i lombardi, i residenti della Provincia Autonoma di Bolzano o i laziali. Le ragioni di questo gap vanno ricercate nei livelli retributivi medi dei nostri corregionali che, mediamente, sono più bassi della gran parte di quelli riconducibili ai contribuenti Irpef delle principali regioni del Nord.
Se teniamo conto che in Veneto l’incidenza percentuale dell’economia non osservata sul valore aggiunto regionale è molto contenuta e pari al 10 per cento, ciò testimonia che il peso dell’evasione fiscale e del lavoro nero presente nel nostro territorio è molto contenuto. Pertanto, possiamo affermare che la quasi totalità dei contribuenti Irpef veneti sono fedeli al fisco e sugli stessi grava una pressione fiscale reale del 47,4 per cento: quasi 5 punti in più rispetto al dato ufficiale che l’anno scorso si è attestato al 42,5 per cento. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA.
Perché questa differenza?
Il Pil nazionale, come del resto quello di molti altri Paesi dell’Unione Europea, comprende anche gli effetti dell’economia non osservata, il cui contributo alle casse dello Stato è nullo per definizione . Pertanto, alla luce del fatto che la pressione fiscale è data dal rapporto tra le entrate fiscali e il Pil, se da quest’ultimo storniamo la componente riconducibile al sommerso, il peso del fisco in capo ai contribuenti onesti sale inevitabilmente, consegnandoci un carico fiscale reale per il 2023 del 47,4 per cento. Si tratta di un livello di 4,9 punti superiore a quello ufficiale che, invece, si è attestato al 42, 5 per cento.
Meno tasse, ma pochi se ne sono accorti
Nel 2023 il prelievo fiscale è finalmente sceso: rispetto all’anno precedente la pressione fiscale è diminuita di 0,2 punti percentuali, grazie alla rimodulazione delle aliquote e degli scaglioni dell’Irpef e al modesto aumento del Pil. Analogamente, anche nel 2024 il peso complessivo delle tasse e dei contributi sulla ricchezza prodotta nel Paese dovrebbe scendere. Tuttavia, è verosimile ritenere che la gran parte degli italiani, purtroppo, non se ne sia accorta, poiché nel contempo è cresciuto il costo delle bollette, della Tari, dei ticket sanitari, dei pedaggi autostradali, dei servizi postali, dei trasporti, etc. Insomma, se le tasse sono diminuite, il peso delle tariffe invece è salito creando un effetto distorsivo. In sintesi, i contribuenti non hanno potuto beneficiare pienamente della diminuzione della pressione fiscale perché, nel frattempo sono aumentate le tariffe che, a differenza delle tasse, statisticamente non vengono incluse tra le voci che compongono le entrate fiscali.
Ecco perché la pressione fiscale reale è al 47,4%
In Italia nel 2021 (ultimo dato disponibile) l’economia non osservata ammontava a 192 miliardi di euro (pari all’11,7 per cento del valore aggiunto nazionale) (vedi Graf. 1), di cui 173,8 miliardi erano attribuibili al sommerso economico e altri 18,2 alle attività illegali . Nei dati riportati in questa news, l’Ufficio studi della CGIA ha ipotizzato, prudenzialmente, che l’incidenza dell’economia sommersa e delle attività illegali sul Pil nel biennio 2022-2023 non abbia subito alcuna variazione rispetto al dato 2021.
Ovviamente, nessuno può nascondere che anche tra i lavoratori autonomi ci siano delle sacche di evasione che vanno assolutamente contrastate.