Una soluzione, Claudia Scarzanella, non ce l’ha. O, meglio, è convinta che per risolvere il gap tra Bellunese e Austria servano accordi internazionali in grado di portare vantaggi ad entrambi i territori. Ma ancora nessuno ha preso in mano la questione e in provincia le segherie continuano a chiudere. «Siamo rimasti forse in cinque spiega e anche chi resiste ha dovuto ridimensionarsi. Il problema è che nella fase del boom si sarebbe dovuto fare rete e creare innovazione, ma non è successo». Oggi le aziende non hanno materia prima da lavorare. Le ditte boschive vendono i tronchi a quelle austriache, in grado di pagarli a peso d’oro perché grazie a macchinari di altissima tecnologia riescono a sfruttarli al massimo elevando la qualità anche delle parti più scadenti. Un tronco pagato 60 euro dalle realtà locali viene acquistato a 80 dagli austriaci. Una lotta impari in cui le ditte boschive lasciano vincere gli stranieri per avere maggiori guadagni e le segherie locali si ritrovano a elemosinare il materiale che resta, spesso privo di assortimento. Ma il nemico delle segherie bellunesi non è l’Austria. Le imprese in Austria hanno ancora i nomi delle famiglie austriache che le hanno fondate in passato – spiega un piccolo imprenditore del Comelico, Roberto D’Ambros Rosso -, ma di fatto sono in mano a proprietari stranieri.