I punti nascita con meno di 500 parti, riorganizzati dalla giunta del Veneto con standard qualitativi diversi rispetto a quelli stabiliti dall’accordo Stato-Regioni, non sono sicuri per mamme e bambini. Lo sostengono ginecologi e ostetriche che hanno depositato al Tar un ricorso contro la Regione sollecitando la cancellazione di parte della delibera con la quale – in deroga alle disposizioni nazionali- il Veneto mantiene reparti in cui nascono pochi bambini e adottano per essi parametri diversi rispetto a quelli nazionali. Una riorganizzazione, quella della Regione, adottata per salvare i punti nascita più piccoli e, in quanto tali, a rischio chiusura. Nelle scorse settimane erano già scese in campo la Società Italiana di Pediatria e quella di Neonatologia che, in una lettera al governatore Zaia avevano espresso preoccupazione per la delibera 2238 del 23 dicembre 2016 con cui veniva ufficializzata la persistenza dei punti nascita sotto i 500 parti. La Regione ha salvato i punti nascita più piccoli appellandosi alle difficili condizioni orogeografiche; condizioni che nel ricorso vengono ritenute insussistenti per molte strutture. «Il ricorso presentato è unico in Italia perché solo il Veneto ha deciso questa disciplina differenziata», spiega l’avvocato Roberto Righi che ha curato il ricorso, «Il problema non è solo legato alla statistica per cui dove ci sono meno parti, c’è meno “allenamento” della équipe medica, ma soprattutto alla mancanza di dotazioni per la sicurezza».