«La lotta alla contraffazione ed alla falsificazione dei prodotti alimentari made in Italy di qualità determina una sensibile perdita di posti di lavoro, senza contare il rischio economico che le nostre aziende sono costrette a sopportare, per effetto dell’inganno posto in essere da chi produce copiando i nomi dei nostri migliori prodotti, ma con materie prime e procedimenti decisamente differenti. E ciò che più dobbiamo considerare sono gli effetti importanti sulla salute, provocati dal consumo di cibi di cui non si conosce l’esatta composizione e l’origine». Con queste parole il presidente provinciale di Coldiretti Vicenza, Martino Cerantola ed il direttore Roberto Palù commentano la presentazione del dossier Coldiretti elaborato in collaborazione con la “task force” dei Carabinieri dei Nas all’estero per verificare cosa viene venduto come “italiano”. Nel 2015 l’Italia ha raggiunto il record storico delle esportazioni agroalimentari, pari a 36,8 miliardi, un valore che è praticamente raddoppiato negli ultimi dieci anni (+74%). «A questa realtà, però – concludono il presidente Cerantola ed il direttore Palù – se ne aggiunge una ancora più insidiosa: quella dell’italian sounding di matrice italiana, che importa materia prima dai Paesi più svariati, la trasforma e ne ricava prodotti che successivamente vende come italiani senza lasciare traccia, attraverso un meccanismo di dumping che danneggia e incrina il vero Made in Italy, perché non esiste ancora per tutti gli alimenti l‘obbligo di indicare la provenienza in etichetta».