Compromisero una gamba risarcimento da 120 mila euro

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Durante l’asportazione dell’utero i medici le causarono una grave lesione al nervo femorale: dopo 8 anni il tribunale di Venezia ha dato ragione alla donna e a Studio3A che l’ha assistita.
Non bastasse il brutto colpo di doversi togliere l’utero poco più che quarantenne, quell’intervento le ha sconvolto l’esistenza anche a causa di un errore medico. Oggi, a distanza di più di otto anni, però, una cinquantunenne di Jesolo, assistita da Studio3A, ha vinto la sua battaglia: il tribunale di Venezia ha condannato l’Asl 4 del Veneto Orientale, che l’ha pure costretta a intentare una causa, a risarcirla con oltre 120mila euro e a rifonderle anche tutte le spese legali, altri 14mila euro.
A fine 2011, a causa di un grosso fibroma, i medici della Ginecologia e Ostetricia dell’ospedale di San Donà di Piave consigliano alla signora, che all’epoca ha 42 anni, l’asportazione dell’utero: intervento di laparoisterectomia totale effettuato nello stesso reparto il 22 gennaio 2012. Al risveglio, però, la paziente non sente più la gamba sinistra, per giorni non riesce neanche a camminare, e non è una sensazione passeggera dovuta all’anestesia. Gli accertamenti neurologici rivelano che il problema è legato a una seria lesione del nervo femorale sinistro, subita evidentemente durante l’operazione, e, nonostante ripetuti cicli di fisioterapia e sedute di agopuntura, non recupera più la piena funzionalità dell’arto. Il danno ormai è irreversibile. Finalmente, nei giorni scorsi, è stata pubblicata la sentenza in cui il giudice lagunare dà ragione su tutta la linea alla 51enne e a Studio3A. La dott.ssa Ivana Morandin ha aderito in toto alle conclusioni dei consulenti tecnici – che peraltro neanche l’Azienda sanitaria ha contestato limitandosi a eccepire sul quantum richiesto – e le ha ritenute “prive di vizi logico-argomentativi, sia per quanto attiene alla configurabilità della responsabilità in capo ai medici, sia sulla quantificazione dei danni in concreto subiti dalla paziente”. Aggiungendo come “le menomazioni derivate dalla lesione comportano alla signora una difficoltà nell’espletamento delle mansioni tipiche dell’attività di casalinga, nonché l’impossibilità di svolgere le attività ludico-ricreative che praticava prima”. Di più, il giudice, oltre a liquidare il danno non patrimoniale in 14.250 euro a titolo di inabilità temporanea e 60.038 euro di invalidità permanente, ha ritenuto di applicare anche una personalizzazione del 20% in quanto la donna, “in seguito alle lesioni, ha subìto un netto cambiamento umorale in negativo, ha accantonato la passione per il giardinaggio e le passeggiate con il cane, ha dovuto modificare la proprie abitudini di vita abbandonando abiti eleganti e tacchi per indossare solo abiti comodi e scarpe ginniche e, soprattutto, ha dovuto rinunciare alla sua passione maturata da bambina e praticata ogni anno di fare escursioni in montagna con la sua famiglia”. Non basteranno per restituire alla cinquantunenne di Jesolo la sua vita di prima, ma quanto meno po’ di giustizia l’ha ottenuta.