«Non puoi immaginare quanto ho goduto ieri… non vedo l’ora di piegare uno e togliergli la testa… ahahahah». Meriem Rehailly lo scriveva ad un’amica nell’autunno del 2014, dopo averle inviato alcune fotografie riguardanti la decapitazione di un prigioniero dell’Isis. Erano i primi segnali di radicalizzazione della ventunenne di origini marocchine, un tempo residente con la famiglia ad Arzergrande, che martedì sarà processata di fronte al Tribunale di Venezia con l’accusa di essersi trasferita a Raqqa, in Siria, nel luglio del 2015, per arruolarsi nello Stato islamico. Martedì in aula, di fronte al giudice Claudia Ardita, Meriem non ci sarà: è tutt’ora latitante. Contro la ragazza il pm antiterrorismo Francesca Crupi ha istruito un fascicolo di circa duemila pagine, nelle quali si trovano documenti sequestrati nella sua abitazione, intercettazioni telefoniche, testimonianze di insegnanti, amiche e persone che sono entrate in contatto con lei, copie di messaggi, anche audio, inviati da Raqqa, prima di far perdere ogni traccia. «Prego Allah per darmi il viaggio e la Jihad per Allah… Amo il Jihad e colui che fa il Jihad avrà un guadagno…», scriveva Meriem nel suo diario, nel 2015, subito dopo l’attentato messo a segno a Parigi. La Procura non ha dubbi che la ragazza sia andata a combattere. A provarlo vi sarebbero alcuni messaggi con le confidenze fatte dalla Siria ad un’amica: «Io qui sto vivendo da Dio perché ho trovato quello che ho sempre sognato», scrive Meriem da Raqqa, raccontando di essere «ospitata in una casa di sole donne alle quali vengono quotidianamente impartite lezioni sul Corano e sull’utilizzo teorico e pratico delle armi per andare a combattere»…