Ci risiamo. Sono due i momenti in cui si condensano le scadenze fiscali e tributarie più numerose e pesanti per le tasche dei contribuenti: a giugno e a novembre. In particolare le ultime due settimane dell’undicesimo mese dell’anno sono quelle più “terribili”. Dal 16 novembre (ma, essendo un sabato, si slitterà a lunedì 18), pioveranno imposte, cominciando con il versamento dell’Iva per ottobre e per il terzo trimestre dell’anno e il versamento delle ritenute Irpef di dipendenti e collaboratori. Secondo i dati diffusi dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, si possono stimare introiti per le casse dello Stato pari a 55 miliardi. Fabbrica Padova, centro studi di Confapi, ha calcolato che il peso che graverà sui contribuenti veneti a novembre sarà di circa 5,06 miliardi mentre quello sui contribuenti padovani sarà di un miliardo, considerando nell’insieme imprese, lavoratori dipendenti e possessori di altri redditi. Nello specifico, la voce che inciderà di più è quella relativa alla liquidazione dell’Iva (1.380 milioni in Veneto, 273 milioni a Padova), seguita dall’acconto Ires (1.196 milioni in Veneto, 236 milioni di euro a Padova) e dalle ritenute su dipendenti e collaboratori (1.095 e 217 milioni). «Molte delle scadenze di novembre riguardano appuntamenti mensili previsti. Di fatto, però, è evidente che creeranno problemi a numerose imprese, soprattutto alle più piccole, quelle che hanno più difficoltà nell’accesso al credito e nel reperire liquidità», sottolinea il presidente di Confapi Padova Carlo Valerio. «E il guaio è che la situazione potrebbe addirittura peggiorare attraverso provvedimenti che rischiano di affossare alcuni settori della nostra economia. Nel complesso, infatti, non vediamo quel cambio di passo che servirebbe. Se è positiva l’istituzione del fondo per la riduzione del carico fiscale sui lavoratori dipendenti, rimangono poco chiare le modalità su come sarà portato avanti il taglio del cuneo fiscale. E se è positivo il mantenimento dei fondi per l’industria 4.0, va detto è l’Italia sia ancora troppo indietro in merito alla spesa per ricerca e sviluppo». «E poi ci sono le questioni plastic tax e della consorella sugar tax, che vanno affrontate senza paraocchi», aggiunge Valerio. «Se il senso vero fosse quello di limitare i rischi dell’uso smodato e avventato di plastica e zuccheri sarebbero condivisibili nello spirito generale di ricercare, proporre ed indurre comportamenti più consapevoli da parte di tutti. Ma lo sarebbero se inserite in un contesto ampio di revisione progettuale degli ambiti d’intervento, di guida per nuovi comportamenti, di ricerca di nuove soluzioni tecniche, con i necessari tempi. Di sicuro la società dovrà darsi una regolata, e in fretta anche, ma imporre nuove estemporanee tasse in questo modo non è la strada giusta, anzi: così si penalizzano le imprese nazionali rispetto ai concorrenti e europei, cercando sostanzialmente di fare cassa. Quella sulla plastica è chiamata a dare poco meno di 1,1 miliardi, mentre quella sullo zucchero vale il primo anno 233,8 milioni. Queste imposte, se funzionassero, dovrebbero appunto ridurre il proprio gettito nel tempo, disincentivando i consumi “dannosi”. Ma allora perché il governo ha previsto che gli introiti per la tassa sulla plastica salgano nel 2021 a 2,19 miliardi, e tali rimangono anche nel 2022, mentre quelli sulle bevande zuccherate saliranno a 262? I conti, è evidente, non tornano».