SOS per il Po, Legambiente al lavoro

0
315

Oltre 74 mila km quadrati, un’estensione pari a un quarto dell’intero territorio nazionale, 17 milioni di abitanti, sei regioni e una provincia autonoma attraversata: sono i numeri del bacino del Fiume Po, il più grande d’Italia, che al suo interno custodisce ben 684 siti Natura 2000 e 420 aree naturali protette, oltre che siti riconosciuti patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO.
Un ecosistema prezioso messo però a dura prova, in questi ultimi mesi, da una delle peggiori crisi idriche di sempre, che ha fatto registrare livelli allarmanti con -0,88 metri a Piacenza e -7,16 metri a Pontelagoscuro (FE). Una crisi che, di riflesso, determina anche l’ingressione del cuneo salino, ossia l’ingresso di acqua di mare anche nelle falde e nelle aree lagunari, quest’anno arrivata a 30 km dalla foce. Elementi che vanno a inserirsi in un quadro complessivo già fortemente compromesso, con temperature che nel bacino del Po, negli ultimi 30 anni, sono cresciute a un tasso più elevato della media (+2,5 gradi centigradi) e precipitazioni in notevole calo (-20%),
Per questo, in occasione del Big Jump 2022 – l’iniziativa promossa dallo European Rivers Network per riavvicinare i cittadini a fiumi, laghi e zone umide attraverso un unico “grande tuffo” cui Legambiente ha aderito con decine di eventi in tutta Italia puntando l’attenzione sull’emergenza siccità che colpisce tutti i fiumi da Nord a Sud – l’associazione presenta un documento di proposte in 8 punti per la riqualificazione del Fiume Po e dell’intero bacino, su cui intende avviare un confronto e una discussione con tutti i soggetti interessati.
“Per tutelare l’ecosistema, l’economia delle regioni del bacino padano e la vita delle comunità fluviali, occorre un approccio integrato che tenga in considerazione tutti gli aspetti legati all’utilizzo e alla conservazione delle risorse del territorio”, dichiara Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente. “È evidente che questa crisi, peraltro annunciata dalle scarse nevicate invernali e piogge primaverili, è un effetto diretto della crisi climatica in atto. E, con un’alterazione anche di un solo grado in più, il ciclo dell’acqua cambia: i ghiacciai delle montagne perdono spessore e lunghezza, il permafrost si degrada, le precipitazioni variano. Dovremo dunque imparare a convivere con una minore disponibilità d’acqua dolce e con eventi estremi sempre più frequenti; piogge torrenziali e siccità sono due facce della stessa medaglia che devono entrare nella pianificazione e nella programmazione di uso delle risorse, a partire da quelle del PNRR, considerando lo stato del fiume in senso ecosistemico”.