Turismo, una crisi senza precedenti

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Mai prima una crisi aveva toccato così profondamente il sistema del turismo veneto, tanto da paralizzarlo con la sua intera filiera, portandone in superficie le storiche fragilità come una lucida filigrana. È quanto confermano i numeri della conta aggiornata dei danni causati dalla pandemia, restituiti dall’indagine realizzata di recente dalla Fondazione Corazzin (il centro studi di Cisl Veneto) per conto di Fisascat regionale, e presentata in anteprima stamattina nella tavola rotonda “Turismo e ricettività: quando la crisi si accanisce contro un settore” promossa dalla stessa categoria sindacale.
Un arresto ancor più pesante perché giunto dopo un anno culmine per il turismo veneto, che nel 2019 aveva registrato performance da record se si guarda all’ultimo decennio, ossia quello di risalita seguito alla precedente crisi economico-finanziaria, che seppur lasciando il segno non aveva avuto ricadute così ampie e gravi.

In questo orizzonte, la ricerca ha il pregio anzitutto di mettere insieme i dati delle diverse dimensioni (fonti: Istat, Veneto Lavoro, Regione del Veneto, Infocamere) e di leggerli per la prima volta con uno sguardo globale, evidenziando come la pandemia si sia accanita in modo particolare sul settore, proprio per le sue strette connessioni con la socialità, e misurandone l’impatto sui diversi versanti.
Arrivi complessivi in Veneto scesi dai quasi 20 milioni e 200mila (per il 2/3 turisti stranieri) del 2019 ai 7 milioni e 860mila del 2020, con un calo del 60 per cento. Diminuite drasticamente anche le presenze, ossia il numero delle notti trascorse dai clienti negli esercizi ricettivi alberghieri o complementari (agriturismi, ostelli, appartamenti,…), passati da 71 milioni circa a poco meno di 32 milioni e 500mila. Questo significa una perdita dei consumi pari a ben 3 miliardi e 160 milioni di euro, se si considera che la spesa media giornaliera dei turisti per viaggi di vacanza nel 2019 in Italia era stata pari a 81 euro a persona. E poi c’è il fronte delle assunzioni, passate nella sola ristorazione da oltre 77mila nel 2019 a poco meno di 46mila nell’anno dello scoppio dell’emergenza, e nel comparto degli alloggi addirittura dimezzate, scese cioè dai 53.655 del 2019 ai 26.700 del 2020. E si consideri che ancora oggi non è del tutto possibile prevedere l’impatto sui licenziamenti, fino ad oggi bloccati.

Ora l’intero settore si affaccia ai prossimi mesi – comunque incerti – di possibile ripartenza con molte aspettative e insieme tanta preoccupazione. Sullo sfondo anche il dibattito per la definizione delle regole che si spera consentiranno, al Veneto come a tutto il Paese, di non perdere un’altra stagione turistica. A partire dall’ipotizzato passaporto vaccinale e dalle sue possibili ricadute a breve-medio termine. Perché, è ben noto, il turismo straniero in Veneto è un turismo “ricco” e con permanenza media superiore. Per fare un solo esempio, al 20 aprile scorso in Austria le persone vaccinate (con dosi complete) erano al di sotto di 739mila circa: un dato addirittura più basso rispetto al numero di turisti austriaci che nel 2019 si attestavano in Veneto a circa 922mila, collocando l’Austria al terzo posto tra i paesi di provenienza di turisti stranieri in arrivo nella nostra regione.
È quanto ci dice sempre l’indagine della Fondazione Corazzin (curata dai ricercatori Stefano Dal Pra Caputo e Francesco Peron), che ora diventa patrimonio di tutti gli attori. Da questa si potrà partire anche per definire le possibili direzioni da prendere per aiutare la ripresa di un settore così importante per l’economia (nel 2019 quasi il 14% del Pil regionale) e l’occupazione del territorio (431mila addetti occupati nel settore commercio, alberghi e ristoranti), in particolare per rafforzare il sistema di tutele dei lavoratori e delle lavoratrici.